Novembre è alle porte, e finalmente Pokémon Let’s Go ci permetterà di rivisitare Kanto sotto nuove vesti dall’ultima volta che l’abbiamo vista 14 anni fa. Dei giochi sappiamo circa tutto ciò che ci serve sapere e possiamo dire con certezza che le cose sono cambiate molto.
In una delle recenti interviste, Junichi Masuda (direttore di Game Freak) ha parlato dei motivi dietro alcune sue scelte di design, come perché il rivale appaia meno ostile che nei giochi originali, o perché il mood generale sia molto estivo e colorato.
Sebbene molti dei suoi punti siano ragionevoli e sensati, penso che la vera essenza di Kanto, o almeno quella che abbiamo potuto cogliere con Rosso e Blu (Verde) e relativi remake, non sia esattamente ciò che Pokémon Let’s Go ci propone.
Smell ya later!
Cominciamo con la dichiarazione più recente: è vero, con soli 256 pixel è impossibile caratterizzare un personaggio attraverso la sua immagine e le sue espressioni; il dialogo è l’unico mezzo, e questo fa sì che si lasci più libero spazio a interpretazioni personali.
Le prime sono quelle di un piccolo team di localizzazione nei ’90, che al tempo non sapeva di star lavorando a quello che sarebbe diventato il più grande franchise del mondo e che ha esagerato nel dipingere Blu come il bastardo che ricordiamo.
Ed è solo la prima di molte imprecisioni della tremenda localizzazione di allora. Piccola curiosità: molti di voi non lo sapranno, ma la Ultra Ball in lingua originale è chiamata Hyper Ball (da qui la grossa H gialla dipinta su di essa). Non si sa quali siano i motivi del cambiamento, si sa però che la trascuratezza di questo team si è rivoltata contro di esso vent'anni dopo, quando hanno dovuto rinominare la vera Ultra Ball in Beast Ball (UC Ball in italiano).
Il comportamento di Blu nei giochi è il risultato di un fraintendimento del suo gergo nativo, aggravato probabilmente dall’immagine del suo corrispondente dell’anime Gary.
Blu era semplicemente il nipote privilegiato del professore, sempre un passo avanti a te. Mai ha mostrato la cattiveria di Argento in Oro e Argento, e nei suoi dialoghi nel peggiore dei casi scherniva scherzosamente il protagonista, non più di come l’amichevole Barry faceva in Diamante e Perla.
Nonostante non fosse così insopportabile come l’anime e la versione occidentale dei giochi ci hanno fatto credere, Blu soddisfaceva appieno i requisiti per essere l’archetipo del rivale che ti spinge a essere migliore punzecchiandoti continuamente su come tu sia indietro rispetto a lui. Cosa che appare evidente non appartenere al nuovo rivale.
La grande città
Non è solo la personalità del rivale a essere stata ammorbidita, anzi, tutta la regione appare molto più radiosa e colorata di come era in 8 bit, e non è solo la nuova grafica o risoluzione a fare la differenza.
Come è stato ammesso in una recente intervista, una volta la compagnia aveva molta più libertà d’espressione, non aveva alcuno standard o regole rigide da seguire, non sapeva chi avrebbe giocato il loro gioco e come sarebbe stato recepito quindi da un determinato target.
Il mondo Pokémon è l’utopica terra in cui natura e tecnologia sono in perfetta simbiosi. Nonostante ciò, Kanto trasmetteva come dietro l’avanzamento tecnologico ci fosse sempre e comunque del marcio.
- Da loschi motociclisti e adulti armati senza scrupoli che affrontano bambini a medium possedute che chiedono il tuo sangue mentre uno scassinatore minaccia la tranquillità di una città dove il concetto di guerra non è estraneo… solo dai suoi abitanti Kanto appare come pericolosa.
- Lavandonia riusciva, anche solo tramite la musica, a trasmettere un senso di inquietudine così palpabile da far desiderare a ogni bambino di andare quanto più prima possibile via da quel posto.
- Kanto pullula di tipi Veleno: in un laghetto di Azzurropoli un vecchietto non vede che Grimer ormai, e l’esistenza di un Pokémon come Koffing che si nutre dell’inquinamento cittadino non può che farmi immaginare Kanto come una grande città industriale inquinata.
- Il casinò locale è gestito dalla criminalità organizzata, la quale ha collaborato con una riconosciuta entità spirituale (Mr. Fuji) per l’illegale creazione di una macchina da guerra biologica (Mewtwo).
- Le prove del punto precedente sono sparse nella villa abbandonata dell’Isola Cannella, e rigiocando a Rosso e Blu mi sono reso conto di come quel posto appaia tanto inquietante quanto Lavandonia.
Considerando come oltre a tutto ciò nella prima serie dell’anime si toccavano molto facilmente argomenti riguardanti morte, possessione spiritica, armi e corruzione, non credo davvero che se al tempo avessero avuto modo di esprimere come oggi il carattere di Kanto, questa sarebbe stata davvero la ludoteca colorata che è diventata col tempo.
Ricordate le mamme arrabbiate per le cattive influenze di Pokémon nel 2000? È tutta colpa loro.
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Cinture allacciate e filtro famiglia attivo
A essere onesti, sin da Oro e Argento il franchise aveva iniziato ad “addolcirsi” adattandosi all’audience gigantesca che cresceva di anno in anno (e al buon senso del marketing che ne consegue), ma Pokémon Let’s Go è riuscito a creare un abisso molto più grande di quello che c’è -per esempio- tra Rosso e Blu e Sole e Luna, in quanto ad accessibilità per ogni età e genere.
Tanto controversi sono i titoli, tanto le recenti interviste al direttore sono state ricevute con perplessità e rigetto da molti fan, al punto da definire Masuda fuori dal mondo.
Non hanno tutti i torti: infatti, quando Masuda prova a spiegare il perché di certe scelte di design nei remake di Kanto, parla del suo target principale come i bambini che vogliono solo giocare con gli smartphone, i quali offrono un’esperienza di intrattenimento molto più “veloce” e “semplice”.
Il grande problema sta nel suo essere completamente ignaro del fatto che il mercato mobile e console siano due cose radicalmente diverse, e che quindi è giusto offrano due esperienze diverse.
Certo, ci sono molti meno bambini di una volta che l’estate in spiaggia hanno un 3DS con un gioco Pokémon in mano piuttosto che uno smartphone con Clash Royale, ma se tutti i bambini del mondo -o quasi- ormai hanno uno smartphone, quei pochi che scelgono comunque di investire il proprio tempo in un’avventura tradizionale non sono interessati a giocare a un “gioco mobile” su Nintendo Switch, così come non è detto che ogni persona che utilizzi il proprio smartphone per giocare sia interessato a farlo su una console casalinga.
Cercare di unire queste due esperienze è contraddittorio, e il fatto che a capo dei videogiochi di questo brand ci sia una persona che ha lavorato per decadi nell’industria senza realizzarlo è preoccupante.
Pokémon è sempre meno un videogioco
La situazione appare ostica dal punto di vista di un videogiocatore. Pokémon è nato come videogioco e morirà come videogioco, ma non dobbiamo dimenticarci che l’aspetto videoludico del gigantesco fenomeno che è questo franchise compone solo un piccolo pezzo del grande puzzle.
Pokémon è principalmente un brand, un simbolo nostalgico dei ’90 e i primi 2000, è merchandise, serie animata, gioco di carte, o semplicemente ispirazione per arte di ogni genere e qualità che ogni giorno invade il web.
Voglio dire, recentemente è stata targata Pokémon una linea di scarpe, e la candidatura di Osaka per l’Expo del 2025 utilizza i mostriciattoli di Kanto come principale forma pubblicitaria.
Quando il governo stesso del Giappone riconosce l’importanza che ha avuto Pokémon nel mondo, è il momento di capire che è qualcosa di grosso, decisamente più di un videogioco.
Pokémon Let’s Go in particolare non vuole e non deve essere un videogioco paragonabile a Breath of the Wild o Mario Odyssey, è di nome e di fatto il braccio dell’applicazione mobile che si estende e prova ad avvicinarsi a quel mercato così distante.
Le statistiche parlano chiaro: Pokémon GO è giocato tantissimo, e la campagna promozionale di Let’s Go -in qualche modo- ha incrementato così tanto l’interesse da rendere il mese di settembre il nuovo record di incassi dai tempi esplosivi della sua uscita.
Let’s GROW.
Il giorno precedente alla scrittura di questo articolo si è svolto il Community Day di Beldum, ed ero incredulo nel vedere che tra la folla gigantesca di gente che giocava, tantissime erano le famiglie, e tantissime le mamme sui cinquanta prese molto più dei loro figli dal gioco.
Considerando come Nintendo Switch abbia cavalcato così tanto l’onda del successo dalla sua uscita, mi sembra solo normale che nella casa di ognuno di quei nuclei familiari ci sarà una console, e Let’s Go verrà comprato perché chiesto o semplicemente perché è targato Pokémon, e probabilmente giocato dagli stessi genitori che hanno amato catturare le stesse creature sul proprio smartphone.
È quindi molto plausibile che chiunque si avvicini alla saga avendo solo Pokémon GO come esperienza, bambino o adulto che sia, non voglia essere alienato con troppe meccaniche aggiuntive a quelle che già conosce. Questo è parte del perché Pokémon Let’s Go tratta i propri utenti come persone che non hanno mai giocato ai videogiochi (e fidatevi, ho visto gente che non essendo abituata a giocare dall’infanzia ha effettive difficoltà a orientarsi la prima volta che impugna un controller).
Se il discorso sulle differenze tra i due mercati è vero, è anche vero che un gioco che prova a fare da ponte tra i due deve seguire questa filosofia.
Ed è un grosso peccato.
Sono particolarmente affezionato alla saga, ma sono prima di tutto un videogiocatore.
In genere prediligo i giochi indie, perché a differenza di una buona parte dei prodotti tripla A non devono sottostare alle regole delle grandi compagnie, finendo con l’avere spesso molto più valore artistico e identità (o almeno, questo è ciò che sento io).
Mi duole ammetterlo, ma ho il timore che Pokémon sia condannato a seguire la strada che ha iniziato a imboccare dalla sesta generazione in poi.
Per vendere a quante più persone possibili, The Pokémon Company trova più preferibile mostrare un prodotto “insipido” e approcciabile da chi non è familiare con i videogiochi che mirare agli appassionati.
Ecco perché sconsiglierei Let’s Go a qualsiasi videogiocatore che non sia legato nostalgicamente alla saga, o che non apprezzi spontaneamente gli RPG incentrati sulla cattura dei mostri.
Nonostante l’assurdità e la contraddizione del cercare di creare un ibrido tra un gioco mobile e un gioco da console, forse per la natura del franchise è davvero possibile che la cosa funzioni e che il risultato possa essere godibile anche da due persone ai due diversi estremi, finché accomunati dall’attrazione nei confronti dei mostri tascabili.
È chiaro come Let’s Go non sia un gioco degno di nota, ma questo non significa che non sia possibile trovarlo divertente.
Il “cuore” del design di Pokémon -fortunatamente o sfortunatamente- non sta e non è mai stato nell’offrire una grande mole di contenuti, nel creare sfide complesse tramite rompicapi o nell’introdurre meccaniche uniche e innovative nell’industria. Nel mercato attuale ci sono tanti giochi che soddisfano quei requisiti allo stesso prezzo e Pokémon non vuole competere con loro.
Ciò che rende Pokémon quel che è, sono i Pokémon stessi.
Collezionarli, allenarli e farli crescere mentre completiamo il gioco, immedesimandoci nel loro mondo e scoprendone i segreti e -dalla seconda generazione in poi- rivivere la stessa esperienza nostalgica in una nuova ambientazione, o nella stessa rivisitata anni e anni dopo, o addirittura nello stesso gioco ma con una squadra completamente diversa.
Nella speranza che la nuova generazione dell’anno prossimo offra un’esperienza videoludica degna di appartenere a quest’epoca, oltre che un’esperienza Pokémon, prendiamo Let’s Go come un pretesto per riflettere su come e perché il franchise è cresciuto, proprio come noi, adattandosi alle sue necessità.
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