La parola a Lee
Dopo averlo invitato a partecipare al nostro ultimo Doomcast per parlare insieme a Dr Love di Hyrule Warriors: L’Era della Calamità, ci è sembrato giusto lasciare spazio al nostro collaboratore esterno Lee per raccontare le sue prime impressioni riguardo alla demo, essendo particolarmente ferrato nel genere prediletto da Koei Tecmo e anche nel precedente Hyrule Warriors. Buona lettura!
Anno domini 2013, dicembre. Nintendo rivelava al pubblico l’esistenza di Hyrule Warriors, nuovo titolo che univa le meccaniche del genere musou all’ambientazione e contenuti della serie The Legend of Zelda. Un simpatico, dimenticabile intermezzo che avrebbe dovuto tenerci occupati fino al lancio del nuovo episodio principale della saga (che all’epoca non aveva ancora un nome), di certo nulla di rilevante e che non sarebbe affatto tornato a farsi sentire con prepotenza in futuro.
Sono passati sette anni dall’annuncio del gioco, durante i quali abbiamo assistito a ben due porting, innumerevoli DLC e addirittura un altro tentativo di riprodurre la formula con l’altra rilevante serie a base di spadaccini di Nintendo. Ma oggi non siamo qui per parlare di Fire Emblem, no. Siamo qui per discutere dell’unica opzione che nessuno avrebbe mai neanche lontanamente preso in considerazione da quando è nato questo cross-over. Oggi parliamo di Hyrule Warriors: l’Era della Calamità.

Carne da cannone in salsa d’agnello
Hyrule Warriors ha il grande merito di aver reso il genere a cui appartiene sensibilmente meno di nicchia, pur restando comunque una tipologia di giochi ben lontani dalla definizione mainstream. Per tutti coloro che hanno sentito parlare di musou per la prima volta aprendo questo articolo, facciamo un rapido riassunto: si tratta di una categoria di giochi d’azione, sottogenere degli hack ’n’ slash; presenta la peculiare differenza che invece di trovarsi di fronte ad avversari che rappresentano ostacoli più o meno ardui, la maggior parte del tempo la passeremo a macellare orde e orde di nemici senza eccessivo sforzo, eccezion fatta per lo sporadico capitano leggermente più robusto e testardo dei suoi sottoposti. Inevitabilmente, questa meccanica conduce a un gameplay che si porta dietro la stessa immutabile critica: la ripetitività. I musou sono giochi che finiscono col riproporre situazioni molto simili, e la soluzione tende spesso e volentieri a essere sempre la stessa: fatti strada in mezzo ai nemici ripetendo combo su combo finché non arrivi al boss del livello.
Questa premessa si è applicata, costante e quasi immutabile, a qualsiasi esponente del genere, che vede i suoi due filoni più importanti in Dynasty Warriors e Samurai Warriors (entrambi sviluppati da Koei Tecmo). Con Hyrule Warriors, si era assistito a un relativamente riuscito tentativo di svecchiare questo immobilismo con varie trovate, dall’introduzione degli oggetti ai boss giganti. Tutto molto simpatico, ma alla fine dei conti, nient’altro che una distrazione in sé e per sé: Hyrule Warriors era un musou con una skin di Zelda e nonostante tutta la buona volontà degli sviluppatori di cercare di proporre qualcosa di innovativo, la realtà dei fatti restava quella. Per i fan di questo genere era un bene, per chi non riesce a digerire questo tipo di giochi un male.

Hyrule Warriors: L’Era della Calamità, tuttavia, fin dal suo primo trailer ha chiaramente mostrato di avere qualcosa in più. Non in maniera particolarmente eclatante, chiariamoci: un musou per essere tale deve rispondere a certe caratteristiche, e se le rimuovi o le cambi eccessivamente ottieni un gioco diverso. La sensazione che dava era di una particolare finezza che né Hyrule Warriors né Fire Emblem Warriors potevano vantare. Come se tanti degli inspiegabili difetti dei suoi due predecessori fossero stati finalmente limati o addirittura corretti fino in fondo.
Un mese dopo dal suo annuncio, Nintendo ci ha graziati con l’arrivo di una demo che permette finalmente di capire se le impressioni date dai primi filmati fossero esatte.
Dopo averla giocata a fondo, se quel che si percepisce dalla demo rispecchia il prodotto finale, potremmo avere tra le mani il miglior musou di sempre.
Il guardiano che saltava nel tempo
Avviata la demo e data la possibilità di scegliere difficoltà e lingua (torna la molto apprezzata possibilità di avere sistema e doppiaggio in due lingue diverse), il gioco si apre con una scena che ormai chiunque abbia giocato Breath of the Wild conosce a menadito: il borgo di Hyrule è sotto attacco, il castello viene posto sotto il controllo di Ganon e tutto sembra perduto. Tuttavia, la notte è sempre più buia subito prima dell’alba e in una zona completamente diversa, Zelda riesce a risvegliare i propri poteri divini, salvando Link e dando una nuova speranza al regno. La novità, in tutto ciò, è rappresentata da un piccolo robottino ancestrale, che si trovava spento e privo di vita all’interno di una delle torri del castello. Questi, risvegliato dall’enorme esplosione di potere della principessa, apre un portale che lo riporta indietro nel tempo, con la missione di “riuscire a proteggere tutti quanti”, ma rimane danneggiato nel tentativo e la stessa sorte tocca ai preziosissimi dati che si reca appresso.
Un robot che torna indietro nel tempo per impedire una apocalisse, questa sono certo di averla già sentita da qualche parte.

In ogni caso, questa sezione è strana sotto innumerevoli punti di vista. Non è mia intenzione giudicare la trama di questo prequel prima di averlo giocato per intero, ma sappiamo già come andrà a finire questo gioco perché il finale deve obbligatoriamente andare in una singola direzione: i quattro campioni e Link affrontano le forze di Ganon, ormai prossimo al risveglio, nel tentativo di far guadagnare tempo a Zelda per risvegliare i propri poteri, solo per venire orrendamente sconfitti. Considerato poi che in Breath of the Wild non si fa alcun accenno a questo piccolo guardiano, la sensazione che un piccolo dettaglio come questo finisca per far degenerare tutto è forte. Ciononostante, Koei Tecmo e Nintendo hanno lavorato a stretto contatto nella creazione di questo titolo e so quanto i ragazzi di Kyoto siano gelosi delle proprie IP, quindi sono speranzoso che tutto ciò andrà a parare da qualche parte in maniera sensata. Probabilmente.
Premi X finché non non muore
Com’è stato accennato qualche riga sopra, il genere dei musou prevede battaglie che non brillano esattamente per difficoltà, con orde e orde di disgraziati che verranno passati a fil di spada senza sforzo alcuno (o di qualsiasi altra arma sia stato fornito il personaggio che controllate).
Hyrule Warriors: l’Era della Calamità in questo senso non si discosta molto dal copione: ognuna delle quattro battaglie, due principali e due minori, affrontabili nella demo era invasa da sgherri completamente insignificanti e investirli con la tipica brutalità che ci si aspetta da questo genere ha subito dato il sapore giusto al gioco.
L’elemento di discontinuità in questo titolo è rappresentato da tante piccole chicche che prese nel loro insieme danno una ventata d’aria fresca al titolo. Anzitutto, il combattimento in generale è stato reso sensibilmente più veloce: non soltanto nel semplice muoversi di ognuno dei guerrieri, ma anche nel modo in cui le combo sono portate a termine. Link, l’unico dei tre personaggi giocabili a essere condiviso tra questo titolo e il suo predecessore, ha forti rimandi al suo stile di combattimento nel primo Hyrule Warriors, ma sono completamente sparite le lungaggini che opprimevano alcuni dei suoi attacchi (il nostro cavaliere biondo in particolare era uno dei più forti e veloci, il che permea questo paragrafo di una certa ironia).
Impa, con un design completamente nuovo, si è rivelata la vera perla di questa demo: la sua capacità di creare cloni prendendo a sberle i nemici, sommata alla sua rapidità, la rende una incessante dose di danni che crescono in base a quanto si è abili a conservare e rinfrescare i suoi buff temporanei.
Zelda, l’ultima dei tre personaggi che si possono sbloccare nella demo, è stata una sorpresa in negativo. Dopo aver provato l’incredibile rapidità dei suoi due compagni, la principessina è la più lenta delle tre e il suo danno totale lascia sensibilmente a desiderare. Ciononostante, di nuovo, mi astengo dal dare un giudizio definitivo: la demo non dava grandi possibilità di sviluppo dei personaggi e in quel poco margine concesso, Zelda è stata quella messa peggio. In ogni caso, bisogna concedere che il suo stile di combattimento ha spunti molto interessanti e si rivelerà, probabilmente, il più originale dei presenti, poiché concede una interazione molto più attiva con la tavoletta Sheikah.

Quest’ultima va a sostituire gli oggetti classici che erano presenti in Hyrule Warriors, proprio come Breath of the Wild ha fatto con la serie regolare; ma in questa circostanza, l’effetto che questa modifica ha sul gameplay aggiunge un nuovo ed estremamente piacevole livello di tattica. Se nel gioco precedente gli oggetti erano una gimmick, a voler essere gentili, in questo seguito ottengono un nuovo ruolo molto più attivo e interessante, dovuto a una caratteristica chiave: ognuna delle rune presenti sulla tavoletta è di una brutalità senza pari.
Usarle permette di liberarsi rapidamente di una grande quantità di pesci piccoli, tanto che potenzialmente superano in utilità alcune delle combo dei personaggi veri e propri. Questo incredibile potere ci viene concesso però a un costo: anzitutto, ognuna delle rune ha un tempo di ricarica, durante il quale non ci verrà consentito di usarne altre. In secondo luogo, le rune sono particolarmente utili contro i comandanti nemici e lanciate contro di loro nel momento adeguato, li stordiscono e rendono vulnerabili, rivelando un indicatore di punto debole che dev’essere consumato a suon di botte per poter poi finirli con un ultimo potente attacco.
Decidere quando e come utilizzare questa risorsa si rivelerà vitale durante le battaglie, specie se teniamo in considerazione che assieme a questa novità troviamo le bacchette, oggetti consumabili che rilasceranno potenti attacchi elementali sui nemici (combinabili con l’ambiente che ci circonda, come nel caso di una scarica gelata lanciata su uno specchio d’acqua per ottenere un ampio congelamento di truppe nemiche).
Tutta questa ondata di freschezza però si rivelerebbe completamente inutile se il gioco non ci ponesse di fronte a una sfida più o meno decente. Perché sì, i musou sono giochi dalla rinomata accessibilità, ma Breath of the Wild è invece noto per essere un titolo severo ma giusto.
È dunque Hyrule Warriors: l’Era della Calamità un gioco difficile?
Beh, sì… ma in realtà no.
Una mela al giorno leva il medico di torno
La manciata di ore che ho speso a giocare su questa demo l’ho passata impostando fin dall’inizio il livello di difficoltà massimo, il cosiddetto “Molto Difficile”. Non essendo la prima volta che mi approcciavo a questo genere e sapendo quanto l’asticella della sfida sia quasi inesistente, mi sono detto che tanto valeva partire subito col piede giusto.
Ebbene, sono morto più volte in questa demo che nelle mie oltre 400 ore di Hyrule Warriors, contando esclusivamente la mia esperienza su Nintendo Switch.
Questo perché mi sono avvicinato a questo gioco aspettandomi certe meccaniche e sono stato brutalmente sculacciato per questo. Hyrule Warriors: l’Era della Calamità richiede che il giocatore faccia particolare attenzione quando si avvicina ai nemici più importanti, e pensare di poterli affrontare come su qualsiasi altro musou, facendo uso di tattiche ignoranti come uno stordimento perpetuo o consumarli lentamente attraverso piccoli danni continui, vi porterà a una inesorabile sconfitta. Quando ci si trova di fronte a un comandante, questo gioco prende a piene mani da Breath of the Wild e richiede l’utilizzo di schivate e addirittura parate perfette per assicurarsi la vittoria. Andare a testa bassa contro anche un banalissimo moblin e aspettarsi di vincere soltanto perché si è il protagonista di un musou si traduce in un viaggio di sola andata verso la schermata di game over.

Come se tutto questo non fosse già un solido segnale di innovazione rispetto alla norma di qualsiasi altro gioco appartenente al genere, Hyrule Warriors: l’Era della Calamità decide di andare ancora oltre, facendo qualcosa che non avevo mai visto prima: una brutale riduzione e separazione delle cure.
Il sistema delle cure in un musou è un discorso strano, perché varia molto in base al gioco, ma fondamentalmente funziona così: prima di Hyrule Warriors vigeva la regola del “prevenire è meglio che curare” e a meno che non si sviluppassero specifiche combinazioni di abilità adatte allo scopo, i danni presi erano sempre significativi, specie considerato che ogni nemico poteva bloccarci in una continua serie di attacchi senza permetterci di recuperare. Con Hyrule Warriors è stata introdotta una chance di cura personalizzata: una pozione, che poteva aumentare in numero e potenza avanzando nel gioco. Questa meccanica è stata poi espansa in Fire Emblem Warriors, che accanto alle cure poneva anche le verghe curative per permettere guarigioni ad area.
Tutta questa premessa è oltremodo necessaria per capire il profondo taglio che questo gioco pone col passato: per curarsi, in questo gioco, si ha a disposizione una mela che viene raccolta in battaglia e si può conservare. In base a quante mele troviamo, abbiamo più o meno utilizzi della stessa e possiamo curarci più volte. Ma qui sta il focus della questione: la quantità di recupero disponibile è contemporaneamente condivisa tra tutti i guerrieri in battaglia. Conseguentemente, diventa vitale saper centellinare la propria riserva di cure e diventa ancora più importante saper prevenire il danno, perché qualsiasi comandante infligge uno scioccante (ma non ingiusto) quantitativo di ferite. È un livello di profondità e strategia che non mi sarei mai aspettato da un gioco simile, considerato poi che viene applicato in maniera estremamente semplice.
Ciononostante, è bene ricordare che questo discorso vale soltanto per i nemici più importanti, come i capi di un presidio o i comandanti che è necessario abbattere per portare a termine un obiettivo. Il resto delle forze nemiche non si discosta dalla classica definizione di carne da cannone e personalmente ritengo che vada benissimo così: Hyrule Warriors 2 sembra aver trovato il giusto equilibrio tra due universi che fino a un mese fa avrei definitivo completamente inconciliabili.
Le dolenti note
Il framerate del gioco non è assolutamente stabile, sia ben chiaro, ma mi aspettavo sensibilmente di peggio, considerato tutto ciò che c’è sullo schermo contemporaneamente. I cali peggiori e più vistosi si verificano principalmente quando, dopo aver abbattuto il comandante di un presidio, questi rilascia una serie di scrigni, o quando tanti effetti si verificano contemporaneamente su schermo. Avendo giocato un sacco di musou diversi su questo tablet, mi sono ormai abituato al fatto che avere delle performance stabili sia più un miracolo che altro (sebbene Fire Emblem Warriors permetteva di scegliere se prediligere performance o qualità dell’immagine e Hyrule Warriors, almeno in dock, arrivava a 60 fps nella maggior parte dei casi). Credo e spero che una o più patch riusciranno a limare un po’ questo fastidioso spigolo, ma risolverlo completamente mi sembra irrealistico.
Altro punto particolarmente doloroso, sebbene per adesso solo in potenza e non ancora in atto, riguarda la questione dei collezionabili: i semi Korok. La demo dava la possibilità di trovare e raccogliere alcuni di questi semi, qualora fossimo stati abbastanza fortunati da incrociare le pianticelle durante gli scontri. Finora, la gestione dei collezionabili all’interno dei predecessori di questo titolo è stata orripilante a dir poco e la raccolta di Aracnule in Hyrule Warriors e pergamene in Fire Emblem Warriors penso sia stata una delle attività più tediose di sempre. Detto questo, la mia speranza è che la raccolta dei semi in questo titolo sia meno snervante o che quantomeno porti a una ricompensa decente e non al mero aumento degli slot di armi che si possono conservare.
Tutto considerato, posso dire che questa demo mi ha convinto pienamente, dandomi un sacco di soddisfazioni. Sono altresì sicuro che ne darà altrettante a tutti coloro che vorranno dare una chance a questo nuovo, curioso esperimento. Il livello di cura che traspare da questo titolo è fuori scala e sono certo che non avrete di che pentirvene.