Famicom Detective Club: The Missing Heir & The Girl Who Stands Behind – RECENSIONE

10 min.
28.05.2021
Recensione


La decisione di realizzare un remake dei due titoli per NES della trilogia di “Famicom Detective Club”, “The Missing Heir” e “The Girl Who Stands Behind”, è stata coraggiosa di per sé, quindi immaginate la sorpresa di tutti quando è stata annunciata addirittura una localizzazione in inglese con uscita in contemporanea globale!
Una sorpresa più che gradita, chiariamolo, ma comunque inaspettata. Proprio per ringraziare Nintendo del suo coraggio ho deciso di fare il possibile per accompagnare il gioco nel modo migliore possibile con i vari articoli degli ultimi giorni, e ora è il momento di chiudere il tutto con una recensione.
L’importanza storica di questi giochi è innegabile, ma vale davvero la pena di giocarci nel 2021?

Un viaggio nel tempo

Non ho intenzione di dilungarmi particolarmente sullo spiegare il tipo di gioco con cui abbiamo a che fare: un po’ perché ho scritto un articolo apposta e un po’ perché ci vuole davvero poco a capirlo, almeno sulla carta.
Questa è una specifica che mi tocca fare, e mi permette di arrivare subito a una critica importante: entrambi i giochi (ma soprattutto The Missing Heir) sono sì adventure game giapponesi, ma sono anche e soprattutto giochi di più di 30 anni fa.

Mi spiego meglio: giocando a FDC passerete la maggior parte del vostro tempo a spostarvi tra un’area e l’altra di quelle disponibili, e in ognuna di esse ci sarà molto spesso almeno un personaggio con cui interagire. Le azioni concesse al giocatore sono molteplici (anche se non sempre sono disponibili tutte): è possibile esaminare i nostri interlocutori e/o l’ambiente circostante (a volte proprio potendo muovere il puntatore sui bellissimi sfondi e scegliendone elementi specifici da controllare), parlare di vari argomenti, mostrare delle prove, ricordarci di o pensare a qualcosa, oltre ad alcune azioni specifiche. Insomma, a costo di insistere con questo paragone, non è nulla di troppo diverso da quanto succede nelle fasi di investigazione di Ace Attorney.

Famicom Detective Club: immagine del menu dei comandi
In alcuni frangenti saranno indicati in giallo dei comandi consigliati, ma è purtroppo molto raro.

Un sistema di controlli dunque piuttosto semplice, ma comunque più che efficace, alla fine si tratta bene o male di quello che, effettivamente, fa un detective: esamina le scene del crimine e altri luoghi rilevanti, interroga i testimoni e le altre persone legate al caso e cerca poi di mettere insieme i vari tasselli per capire meglio che cosa effettivamente è successo.
Il problema sta però nel modo in cui questo sistema viene sfruttato: per poter mandare avanti la storia, fondamentalmente, è necessario aver trovato tutte le informazioni accessibili fino a quel momento. Peccato che per farlo sia molto spesso necessario procedere alla cieca. Il modo migliore per capirlo è fare alcuni esempi (il più fuori contesto possibile, ma se non volete scoprire in anticipo come uscire da alcune sezioni più intricate saltate i prossimi due paragrafi!).

Parto da uno dei momenti più frustranti di tutti: in The Missing Heir, a un certo punto, il nostro protagonista vorrà porre delle domande a un personaggio che sappiamo visitare un luogo alle 17. Durante un dialogo con un’altra persona in un altro luogo, il nostro “avatar” penserà che “Dovrebbero essere le 17, è ora di andare a cercarla”, quindi la più ovvia azione da compiere sarebbe andare in questo luogo, no?
E invece no, perché una volta fatto… non ci sarà niente. Nessun evento, nessuna persona, nulla.
Sono stato costretto a fare avanti e indietro più volte, riprovare ogni opzione di dialogo possibile (dato che, purtroppo, non c’è modo di sapere se ponendo la stessa domanda si otterrà la stessa risposta, anzi, in alcuni casi serve richiedere la stessa cosa anche tre volte) ed esaminare ogni anfratto dei vari luoghi visitabili… per poi scoprire che il gioco voleva che io usassi il comando “Call/Engage” sul mio precedente interlocutore per salutarlo e andarmene.

Un altro evento che mi è rimasto impresso è molto più semplice, ma non meno tedioso: a un certo punto, sempre in The Missing Heir, ci viene consigliato di cercare in un luogo degli indizi. Sullo sfondo, purtroppo, però, non sarà presente nulla di notevole, e dunque saremo costretti a esaminare più e più volte gli stessi posti finché non si sbloccherà qualcosa. Inutile dire che non è esattamente la migliore delle idee, ci sono arrivato solo per disperazione, dato che non capivo proprio che altro fare, e i commenti del protagonista nemmeno cambiavano tra un tentativo e l’altro.

Famicom Detective Club: il protagonista corre.
Questo povero ragazzo è stato costretto a correre avanti e indietro per continuare a provare opzioni diverse e sperare di far finalmente progressi con le indagini.

Insomma, risulta abbastanza chiaro che, purtroppo, l’interattività dei due titoli sia un’arma a doppio taglio: da un lato è senz’altro qualcosa che rende più interessante le storie e permette di immedesimarsi di più nel ruolo di detective, a differenza di una semplice struttura da romanzo giallo (o kinetic novel, se vogliamo), ma dall’altro l’esperienza è tutto tranne che scorrevole in diversi momenti. Mi viene dunque facile ipotizzare che a livello di gameplay i giochi siano rimasti pressoché identici agli originali, che come altri titoli dell’epoca puntavano molto sul creare una longevità artificiale e trascuravano completamente di venire incontro al giocatore da un lato più prettamente di “quality of life”.
È proprio a questo, però, che avrebbe dovuto pensare soprattutto il remake: anche ammesso di voler mantenere l’esperienza il più possibile simile all’originale, e quindi non rendere nulla più facile da intuire (si tratta pur sempre di giochi di culto in Giappone, non mi avrebbero sorpreso delle lamentele se avessero modificato certe sequenze), sarebbe bastato aggiungere una modalità o un’opzione liberamente disattivabile che offrisse maggiori indizi su cosa fare per proseguire, magari sbloccabile solo dopo essere rimasti bloccati per un po’ di tempo.

Si parla di soluzioni molto semplici: le opzioni di dialogo ancora da esaurire o che si erano aggiornate come conseguenza di precedenti azioni avrebbero potuto essere evidenziate da un colore diverso (cosa che, in realtà, accade già, ma solo in rarissimi casi per qualche motivo), la voce “Remember”/”Think” avrebbe potuto essere usata per dare dei consigli di qualche tipo sotto forma di riflessione del protagonista…
Le possibilità sono molteplici, e non riesco a non considerare una scelta pigra e controproducente quella di ignorare completamente ogni tipo di aiuto fuori da un backlog e la funzione di skip del testo già letto… che tra l’altro nemmeno funziona correttamente, dato che più di una volta mi ha fatto saltare dei dialoghi mai visti prima.

E se io volessi un nuovo Professor Layton?

Penso di averlo chiarito abbastanza, ma voglio essere sicuro che non ci siano fraintendimenti: se vi aspettate di avere a che fare con una serie come Ace Attorney o Professor Layton, in cui vi viene effettivamente richiesto di spremervi le meningi e ragionare o risolvere enigmi, vi state sbagliando.
Certo, ogni tanto la logica potrebbe aiutarvi a capire più in fretta dove cercare o chi interrogare, ma sono pochissimi i momenti in cui sarete effettivamente chiamati a risolvere degli enigmi, dedurre qualcosa, o anche solo dichiarare chi è il colpevole.

Essi sono tra l’altro molto semplici, e principalmente di due tipi: in The Missing Heir viene richiesto relativamente spesso nelle fasi finali di scrivere la risposta a una domanda che vi verrà posta, mentre in The Girl Who Stands Behind basterà scegliere la persona giusta da un elenco di personaggi. I rari input diretti sono quindi pressoché tutti così, ma segnalo una sezione verso la fine di The Missing Heir in cui sarà possibile esplorare un “labirinto” (un riferimento alla versione Famicom di Portopia?), cercando di risolvere un piccolo enigma per raggiungere l’obiettivo!

Famicom Horror Club?

Una volta messo in chiaro che il lato più “ludico” del titolo soffre innegabilmente di tutta una serie di problemi derivanti dalla stessa natura del gioco (nel bene o nel male non risolti nel remake), arriviamo a parlare dell’aspetto che è, a mio parere, decisivo: il gioco non sarà il massimo da giocare in alcuni passaggi, ma la storia, i misteri che ci vengono proposti bastano a farne valere la pena?

Inutile dire che anche e soprattutto questo aspetto non può non essere intimamente legato al periodo in cui queste storie sono state scritte, e non parlo naturalmente solo del fatto che non esistono i telefoni cellulari e che molte più persone sono propense a credere al paranormale e alle leggende metropolitane.
Se vi aspettate trame elaborate e misteri complessi e raffinati come in opere dello stesso genere ma scritte negli ultimi cinque anni, siete fuori strada, così come se pensate di avere tra le mani giochi da 30+ ore l’uno. La maggior parte dei personaggi è solo abbozzata, alcuni nemmeno hanno un nome o compaiono solo una volta. Non c’è una reale crescita dei protagonisti, non ci sono grandi momenti introspettivi né critica sociale o enormi plot twist.
Si tratta di due storie investigative degli anni ’80, probabilmente interessanti e innovative per i tempi, ma che sanno complessivamente un po’ di già visto.

Il cliché dell’amnesia non poteva mancare, ovviamente.

Con questo non voglio certo dire che non le ho apprezzate, però. Anzi, a essere sincero penso di aver vissuto innegabilmente queste due esperienze in un modo molto diverso da quello di chi ci poté giocare ai tempi, ma non necessariamente godendomele meno.
In entrambi i casi ho avuto un’idea di come si sarebbero risolte le cose molto in fretta, indovinando il colpevole prima di metà storia. Nel contempo, proprio questa eccessiva “semplicità” mi ha lasciato costantemente sul chi vive: si tratta di un “red herring”, o semplicemente la storia al giorno d’oggi risulta ingenua? Devo tenere in conto l’esistenza del paranormale o posso assumere una spiegazione logica a tutto? E soprattutto, perché il colpevole sta facendo questo?

È proprio il cosiddetto “whydunnit”, il movente del colpevole, in realtà, l’aspetto su cui sento che Sakamoto ha voluto concentrarsi maggiormente nella scrittura di entrambi i giochi. I responsabili sono sì piuttosto ovvi, ma non è mai chiaro il motivo che li ha portati a compiere questi efferati crimini. Proseguendo con la storia, ci addentreremo sempre di più nel “cuore” del mistero, scoprendo storie di vendetta, di sofferenze mai sopite, di crudeltà mai venute a galla, di rimorsi e rimpianti. Molti dei personaggi hanno un segreto nel proprio passato, e spesso è proprio in quel segreto che si ritrovano i tasselli che, tutti insieme, ricostruiscono il motivo per cui la persona in questione ha sentito il bisogno di sporcarsi le mani.

I due casi sono in generale piuttosto simili nella loro origine fondamentale, di cui ovviamente non voglio parlare ulteriormente per lasciarvi il piacere di scoprirlo da voi. Devo comunque dire che Famicom Detective Club si impegna sempre a evitare di proporci dei personaggi semplicemente “cattivi”: non saranno certo i migliori assassini mai scritti nella storia della narrativa, ma quanto meno è molto facile capire i loro processi mentali, e arrivare, se non a giustificarli, almeno ad accettarne le ragioni, comprendendo che non sempre il colpevole reale è chi agisce in prima persona, ma tutto ciò che lo circonda e lo porta a questa scelta.

Il setting scolastico con una macabra leggenda a renderlo inquietante permea tutta la storia del secondo capitolo della serie.

Altro fattore ricorrente in entrambi i titoli è il paranormale, come accennato, che tende quasi all’horror: durante entrambe le storie, più volte verrà il dubbio al nostro protagonista che davvero non ci sia una spiegazione razionale degli eventi, ma che le leggende della famiglia Ayashiro e della “Ragazza che sta dietro”, per usare una traduzione letterale, siano reali.
Si vede chiaramente che la serie risente fortemente di un’ispirazione horror, che però non riesce mai ad abbracciare del tutto, specialmente in The Missing Heir, in cui è molto chiara la realtà dei fatti. The Girl Who Stands Behind, invece, si impegna maggiormente, pur non approfondendo mai del tutto questo ambito.

Proprio per questo, però, devo ammettere di non essere pienamente soddisfatto dalla conclusione di questo secondo capitolo. Non posso parlarne in maniera approfondita per evitare spoiler, ma ho avuto l’impressione che il finale fosse molto affrettato: molte cose non sono state spiegate, le azioni di alcuni personaggi sono poco coerenti con quanto stabilito nel corso della storia e, in generale, il tutto si conclude in modo abbastanza anticlimatico, con ore di investigazione servite fondamentalmente a gran poco, visto che la risoluzione del mistero è dovuta ad altri fattori. Ho passato tutta la fase finale ad aspettarmi una sorpresa e che i protagonisti capissero di aver preso un abbaglio, eppure così non è stato. Mi son sentito come in una bad ending!

Benché la conclusione di The Missing Heir risulti senz’altro meglio congegnata e non lasci dei dubbi sullo svolgersi degli eventi, in entrambi i casi ammetto di essere rimasto un po’ deluso dalla mancanza di un vero e proprio epilogo. Molti personaggi sono stati coinvolti nei casi, le loro vite sono state devastate dal lutto, dalla perdita, ma anche da verità scomode venute a galla… o perché no, per alcuni sono invece cambiate anche in positivo, in alcuni casi. Purtroppo, però, non vediamo quasi nessuno di loro commentare la scoperta della verità. Questo lascia un senso di incompiutezza al loro potenziale, come se mancasse davvero la chiusura delle storie di questi personaggi, che diventano invece solo delle pedine da utilizzare per risolvere il caso, una scelta che probabilmente era anche dovuta al diverso tipo di aspettative (e di potenzialità del medium) di allora, ma che avrebbe, ancora una volta, potuto essere rivista nel remake.

Apologia del Detective Club

Pensiero laterale

Uno degli aspetti su cui Famicom Detective Club risulta più moderno del previsto è senz’altro quello della creatività, e non parlo delle soluzioni dei casi in sé, che come vi ho detto non sono in realtà nulla di speciale.

Come ho detto, per fare pressoché qualunque cosa sarà necessario usare uno dei vari comandi che ci verranno offerti, come “Show” o “Take”. In alcuni casi, però, essi non andranno presi alla lettera: particolarmente memorabile sarà quando nella lista degli oggetti su cui usare “Show” comparirà anche “off”, permettendo di farci belli davanti ad Ayumi!

Dopo circa 2500 parole in cui non ho fatto altro che criticare i giochi per le questioni più disparate, temo che molti di voi si aspettino un voto negativo.
Vi sorprenderà forse sapere, invece, che non ho mai pensato di dare un voto diverso da quello che vedrete a fine recensione: quelli che ho elencato finora, è importante specificarlo, sono quasi tutti difetti legati al fatto che entrambi i titoli risalgono a un’era molto distante da quella videoludica attuale, in un periodo in cui tra l’altro questo genere si stava ancora sviluppando, le potenzialità delle console erano nettamente minori, gli obiettivi erano molto diversi… un periodo in cui forse da un lato gli sviluppatori e i giocatori stessi erano più ingenui, cosa che inevitabilmente pesa su un titolo del genere molto più che su altri, nel caso dei quali un remake può facilmente muoversi senza necessariamente intaccarne l’essenza.

Famicom Detective Club sarà sì un gioco che nel 2021 fatica a imporsi su altri suoi colleghi dello stesso genere, ma non può essere valutato solo così: l’importanza storica di questi titoli rende la mossa di riportarli in auge impossibile da trascurare, e per questo si tratta di un tassello fondamentale per chiunque sia appassionato a questo tipo di videogiochi. Essi hanno fortemente influenzato ciò che è venuto dopo, e ci permettono di dare uno sguardo a un periodo che a noi è stato forzatamente tenuto nascosto per lungo tempo.
La maggior parte del piacere datomi da questi giochi è derivata, come già detto, dall’immergermi nell’atmosfera che tuttora li permea in ogni aspetto, nonostante l’ottimo lavoro grafico, di animazioni e di doppiaggio, ambiti in cui esso non ha assolutamente nulla da invidiare ai titoli odierni.

Nonostante le temporanee frustrazioni, non posso che essere contentissimo di aver finalmente giocato a The Missing Heir e The Girl Who Stands Behind, ed è un’esperienza che non esito consigliare a tutti coloro che sono disposti ad armarsi della giusta pazienza… o almeno, vorrei non esitare, ma purtroppo arriviamo alla nota dolente del titolo: il prezzo.
Complice anche la scelta infelice di forzare i consumatori a comprare i due giochi in un singolo pacchetto, si tratta di un acquisto che costa forse un po’ troppo rispetto a ciò che offre, soprattutto se consideriamo che si sente davvero tanto l’età dei titoli in questione. Non mi aspettavo certo di poter pagare quanto altri giochi NES, visto l’ovvio lavoro che è stato svolto nella realizzazione del remake e la presenza di una localizzazione (purtroppo comunque solo in inglese e non sempre di altissima qualità, ho avuto spesso l’impressione che alcune frasi fossero state tradotte ignorandone il contesto), ma trovo comunque assurdo che il costo sia pari, se non superiore, a quello di produzioni odierne ben più longeve, complesse e, in generale, piacevoli.

Se però i soldi non sono un vostro problema, o se riuscite ad approfittare di qualche sconto, allora reitero quanto già detto: non saranno di certo i migliori adventure game sulla piazza, ma il loro valore storico e l’esperienza che sono in grado di offrire compensano ampiamente. I due Famicom Detective Club si riconfermano delle produzioni senz’altro di nicchia e atipiche rispetto ad altri titoli Nintendo, ma che sanno intrattenere per la loro durata, nella loro semplicità, e che non possono mancare nella libreria di tutti i fan del genere e della grande N!

FAMICOM/10

I due Famicom Detective Club sono ottimi adventure game, ma solo se contestualizzati e presi come giochi di 30 anni fa. A farne valere l’acquisto è soprattutto il valore storico e l’ottimo lavoro grafico svolto per il remake, ma visto il prezzo proibitivo e alcune occasioni mancate lo consiglio solo ai veri appassionati del genere o del retrogaming Nintendo.