Lo abbiamo sentito, lo abbiamo celebrato, lo abbiamo vissuto: Pokémon ha compiuto i suoi vent’anni tondi, un quinto di secolo in cui è passato dall’essere l’ennesima moda nel Giappone di Sailor Moon ed Evangelion all’essere, nel 2016, l’ennesima icona nel Giappone di Sailor Moon ed Evangelion. Vent’anni in cui ne ha fatte di tutti i colori: ci ha portati nelle rovine di civiltà antiche, sull’orlo di vulcani, negli abissi marini, in mondi a rovescio, ci ha fatto vestire i panni di ranger, giocatori di pinball e perfino di Pokémon. Ci ha fatto fare così tante cose che quasi per gioco, quasi per provocazione, quasi per indagare, ci viene da chiedere: abbiamo ancora bisogno di Pokémon?
Nelle sei generazioni che compongono attualmente la saga ci è stata proposta sempre la medesima formula, intatta e intoccabile: otto capipalestra, i superquattro e il campione. Tre starter di erba, fuoco e acqua, un team malvagio, oggetti da comprare o reperire in giro, una bicicletta e una canna da pesca. Non è mai stato quindi il gameplay a mutare la nostra esperienza, bensi lo spazio di gioco in cui ci muovevamo. Le piane di Kanto, le foreste di Johto, la giungla di Hoenn: progredendo di pari passo con gli hardware Nintendo Pokémon si è così confermato come un gioco dallo scheletro analogico e dalla pelle digitale, basando la propria forza su un fattore esplorativo e non su uno, per così dire, di ragionamento.
In sintesi giocare a Pokémon Blu vi concede un’esperienza quasi identica a quella data da Pokémon X. Tutte le magnifiche introduzioni successive, quali il colore, nuovi tipi, un metagame degno di questo nome e molto altro ancora, non vi richiederanno ragionamenti molto diversi da quelli pretesi da una vecchia cartuccia a 8 bit. La forza di Pokémon si è nascosta dall’inizio in questo: riproporci la medesima identica esperienza, che si è dimostrata vincente come poche altre nella storia dei videogiochi, cercando di catturarci attraverso cambiamenti molto più gestibili. Rendere i Pokémon “overdesigned”, come le frange meno aperte del fandom hanno lamentato sin dalla III generazione, è molto più sicuro che, ad esempio, obbligare il giocatore a reperire da solo i materiali per costruirsi una Fune di Fuga, come d’altronde farebbe qualsiasi altro gioco di ruolo (categoria di cui i titoli principali hanno sempre fatto parte).

In questo modo tu, Game Freak, vendi qualcosa che farà sempre sentire a casa sua l’acquirente, a prescindere dall’età e dai precedenti videoludici. Una mossa all’apparenza vincente, ma che porta a chiedersi spontaneamente perché io debba comprare nuovamente un prodotto simile al precedente.
Perché mi piace, perché mi permette di vedere sotto nuove angolazioni quello che conosco da sempre, perché mi fa sentire ancora bambino, perché mi aiuta un poco a capire chi sono. Le ragioni non scarseggiano, ma un videogiocatore onesto sa che qualcosa non funziona.
Andiamo al sodo: io personalmente ritenevo che con HeartGold e SoulSilver Pokémon mi avesse detto tutto quello che aveva da dirmi, e sei anni dopo il loro arrivo in Europa ne sono ancora convinto. Grafica a colori? Oro e Argento. Nuovi tipi? Oro e Argento. Giorno e notte? Oro e Argento. Ambientazioni nuove ed esotiche? Rubino e Zaffiro. Un gameplay fluido e ripulito? Rubino e Zaffiro. Una scelta decente di Pokémon? Rubino e Zaffiro. Trame imprevedibili? Platino.
Una glorificazione di quella che era stata la più grande svolta di Pokémon, ossia la II generazione, era l’ultima cosa che volevo dalla creatura di Satoshi Tajiri. Nel mezzo avevo avuto il tempo di diventare io stesso un Pokémon, di rapportarmi coi mostriciattoli senza doverli catturare, di affrontare storie degne di questo nome.
Con queste premesse sono abbastanza sicuro nel dire che no, di Pokémon non ne abbiamo più bisogno. Lo stesso presidente di The Pokémon Company nel 2010, Tsunekazu Ishihara, dichiarò che Oro e Argento sarebbero dovuti essere gli ultimi titoli della storia di Pokémon. E non gli possiamo dare torto: è una sensazione evidente che si percepisce giocandoli, di come tutto si incastri così bene, di come tutto si colleghi in modo così raffinato alla I generazione, e soprattutto di quante novità rendando il mondo dei Pokémon IL mondo dei Pokémon, quello vero che più amiamo. Un’esperienza definitiva che non è più stata replicata, per ovvi motivi: cosa puoi aggiungere al gioco che ha aggiunto tutto? A ben vedere tutto quello venuto dopo Oro e Argento è stato puramente estetico: EVs, Abilità Nascoste, 3D, con l’unica eccezione delle Mega Evoluzioni.

Benché a fare i conti per bene il risultato ci dica che gli ultimi sei anni di Pokémon, se non addirittura gli ultimi diciassette, sono superflui, non me la sento di dire che potremmo fare a meno della saga. Forse ci farebbe bene, ci aiuterebbe a spostarci da un mondo che prende così tanto di noi e dei nostri pensieri e a diventare un po’ più adulti. Forse permetterebbe a quest’avventura nata esattamente vent’anni or sono di non prendere brutte strade, strade verso cui ci si sta pericolosamente avvicinando.
Ma sarebbe una sconfitta, per noi che abbiamo creduto così tanto in questo franchise e per la compagnia che questo franchise ha fatto a noi. Viviamo già abbastanza nel passato, sarebbe di una tristezza infinita tagliare anche l’ultimo filo che unisce il nostro presente a quello che eravamo dieci e più anni fa.
Non spetta certo a me decidere la fine di Pokémon, oggi come oggi vende come non mai (XY sono i titoli più venduti su 3DS, e nel 2014 il franchise ha generato 2 miliardi di dollari di incassi), ma se potessi lo lascerei vivere. Per dargli l’occasione di stupirci un’altra volta, di emozionarci, di portarci in mondi mai visti. Perché è questo il vero cuore di Pokémon, l’esplorazione. E quello non ce l’ha mai fatto mancare.